Diffamazione su Facebook: è reato?
Facebook è un mezzo di comunicazione social molto importante per una vasta fetta delle persone.
Con Facebook oggi molte persone organizzano la loro giornata, condividono momenti di socialità e si scambiano battute, pareri, commenti, idee.
Ma Facebook può diventare anche un luogo di discordia tanto che si può finire anche nella materia penale.
Pensiamo per esempio alle minacce, alle diffamazioni, alle calunnie fatte a mezzo web. Ma è applicabile il reato di diffamazione a Facebook?
Molte persone, pentite magari per un commento un po’ troppo focoso, giustamente si porgono questa domanda, chiedendosi se scambiando qualche insulto o diffamando via Facebook si possa incorrere in qualche spiacevole conseguenza di carattere penale e in qualche multa.
La questione va analizzata bene anche alla luce della giurisprudenza, stante che il nostro codice penale prevede una fattispecie di diffamazione che ovviamente non teneva conto della presenza di internet e dei social network.
La diffamazione è un reato che consiste nell’espressione di un’offesa all’altrui reputazione o prestigio.
Il problema è che anche la diffamazione per mezzo di internet, e quindi anche per mezzo di Facebook, può benissimo integrare gli estremi del reato.
Il fatto che essa venga espressa per mezzo di un social network, infatti, non solo non cambia i termini della questione ma in alcuni casi addirittura li aggrava ulteriormente.
Diffamazione su Facebook
In cosa consiste il reato?
La diffamazione si differenzia dall’ingiuria perché quest’ultima è espressa direttamente “di fronte”, cioè comunicando direttamente con la persona offesa. Essa non è più reato ma solo illecito civile e comunque da sempre era punita meno severamente in quanto “non detta alle spalle”, e quindi comportava un minore disvalore.
Anche su Facebook, quindi, i termini rimangono gli stessi: un’offesa dell’altrui reputazioni o onore o decoro, se fatta in assenza del soggetto interessato, costituisce quindi reato di diffamazione.
Il reato di diffamazione su Facebook può essere integrato dalla condotta di colui che scriva un commento o un post offensivo sulla bacheca di un utente.
Ovviamente per dimostrare la diffamazione bisogna portare delle prove. La legge non riconosce valore legale ad una foto o screenshot della conversazione o la stampa della pagina. Non si tratta di una vera e propria prova attendibile, quale può essere ad esempio la testimonianza di un terzo, comunque valutabile a discrezionalità del giudice.
Diffamazione su Facebook è un reato aggravato
Non solo quindi il reato di diffamazione su Facebook può benissimo configurarsi, ma addirittura si tratta del reato aggravato.
Infatti ai sensi dell’articolo 595 del Codice Penale, comma terzo, se la diffamazione è fatta a mezzo stampa ovvero “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico” la pena è aggravata.
In sostanza, nella giurisprudenza, Facebook è stato riconosciuto come un mezzo di pubblicità, quasi fosse un giornale, con la conseguenza che la diffamazione se perpetrata è addirittura aggravata.
La stessa Corte di Cassazione ha sostenuto che il fondamento della possibile applicazione dell’aggravante consiste nella “potenzialità” ed idoneità del social in questione a raggiungere un vasto numero di soggetti, proprio come se si trattasse di un giornale.
Insomma diffamare su Facebook è un modo anche solo potenziale di raggiungere un numero molto ampio di persone, motivo per cui la portata dell’offesa è amplificata.
La sentenza della cassazione numero 24431 del 2015 ha sancito che l’inserimento della diffamazione in un sito internet passibile, anzi pensato per esser visitato da un numero indeterminato di soggetti implica il reato di diffamazione aggravata, in quanto equiparato sotto il profilo della sanzione al reato di diffamazione a mezzo stampa.
La diffamazione su internet quindi, per la Cassazione, è diffamazione con un mezzo di pubblicità come previsto dal terzo comma dell’art 595 del Codice Penale: tutti i social network, in generale, ai fini della configurazione dell’aggravante della fattispecie, sono considerati “mezzi di pubblicità”.
Non è inoltre necessario che si sia configurato il dolo specifico, inteso come animus diffamandi, in quanto è sufficiente che il soggetto abbia compiuto l’azione del diffamare agendo su un mezzo di pubblicità che poteva essere visitato da un numero indeterminato di persone.
Inoltre il solo fatto che l’offesa provenga da un determinato account Facebook è passibile di imputare il reato al titolare all’account Facebook in questione.
Una sentenza del Tribunale di Ivrea, la numero 139 del 2015 sostiene che non integra il reato di diffamazione il mancato controllo dei messaggi diffamatori da parte dell’amministratore di un gruppo Facebook.
Quindi colui o colei che amministra un gruppo Facebook non sarà ritenuto colpevole del reato per non aver rimosso il commento a meno che non venga dimostrata la responsabilità concorsuale in maniera rigorosa ed effettiva di fronte alla Procura.
Il termine per effettuare la querela
Chiunque ritenga di aver subito la diffamazione su Facebook deve sporgere querela entro il termine di tre mesi, come stabilito dall’articolo 124, comma primo, del Codice Penale. Ma da quando decorre detto termine?
IL termine decorre dal momento in cui la persona offesa si è resa effettivamente conto che il reato è stato commesso nei suoi confronti.
Tale principio è stato sentenziato dal Tribunale di Lucca, con sentenza 1596 del 2016.
Dal momento in cui una persona abbia cognizione che l’offesa è stata perpetrata nei suoi confronti, può agire per querelare il responsabile.
Diffamazione via Facebook: competenza del giudice
La competenza territoriale del giudice in caso di diffamazione su Facebook, come si stabilisce?
Secondo un primo orientamento, è competente, il giudice territorialmente competente nel luogo dove si trova il server sul quale viene postato a mezzo Facebook il contenuto diffamatorio. Certo, identificare questo luogo non è sempre semplice e scontato.
Oggi come oggi quindi c’è chi ritiene che invece la competenza territoriale sia quella del luogo di residenza del colpevole della diffamazione (con tutti i problemi che ne conseguono se l’account è falso perché in tal caso bisogna prima identificare chi sia dietro all’account).
Altri invece ritengono che il luogo che determina la competenza del giudice è quello dove la vittima risiede, perché sarebbe anche il luogo dove si consuma il danno. La Corte di Cassazione ha ritenuto che il giudice competente è quello del luogo di domicilio della persona offesa, sia in sede penale che in sede civile.