L’ordinamento italiano non tutela solo le persone.
I diritti e l’applicazione dei principi della giustizia non appartengono soltanto agli esseri umani.
L’ordinamento ripone attenzione e pone specifici presidi anche in favore degli animali di affezione.
Quali sono gli animali “di affezione” per l’ordinamento italiano?
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 febbraio 2003 (“Recepimento dell’Accordo recante disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 52 in data 04.03.2003) definisce come animale da compagnia ogni animale tenuto dall’uomo, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, con finalità di compagnia o di affezione, senza finalità produttive nè alimentari, compresi gli animali che svolgono attività utili all’uomo (ad esempio il cane per i disabili, gli animali da pet-therapy, gli animali da riabilitazione, e quegli animali impiegati nella pubblicità).
Si verifichi l’art. 2 di suddetto Accordo recepito con D.P.C.M. del 28.02.2003.
In capo ad ogni detentore di animali da compagnia sussistono specifici ed ineliminabili doveri, da promuovere attraverso condotte attive: il custode-detentore dell’animale deve rifornire lo stesso di cibo e di acqua, in quantità sufficiente e con tempistica adeguata; deve assicurare all’animale le necessarie cure sanitarie ed un adeguato livello di benessere fisico e etologico; deve consentire all’animale un’adeguata possibilità di esercizio fisico; deve prendere ogni possibile precauzione per impedirne la fuga; deve garantire la tutela di terzi da ipotetiche aggressioni; deve assicurare la regolare pulizia degli spazi di dimora degli animali.
Più in generale, chiunque conviva con un animale da compagnia o abbia accettato di occuparsene, è sempre responsabile della sua salute e del suo benessere e deve provvedere alla sua sistemazione e fornirgli adeguate cure ed attenzione, tenendo conto dei suoi bisogni fisiologici ed etologici secondo l’età, il sesso, la specie e la razza.
Ma quali specie animali possono far compagnia all’uomo? E per quali specie c’è specifico divieto di detenzione?
Gli animali che possono esser detenuti nelle case degli italiani vengono indicati in una serie di Regolamenti, l’ultimo dei quali è il Regolamento n. 998 del 2003, che disciplina la “movimentazione di animali per finalità non commerciali”.
Vengono intesi come animali di affezione, le seguenti specie animali: i cani, i gatti, i furetti, gli invertebrati (escluse le api, i bombi contemplati dall’articolo 8 della direttiva 92/65/Cee, i molluschi ed i crostacei), i pesci tropicali decorativi, numerose specie di anfibi e rettili, gli uccelli con l’eccezione di alcuni volatili protetti, i roditori, i conigli domestici, e comunque i conigli non destinati alla produzione alimentare.
L’art. 514 del codice di procedura civile statuisce che sono “assolutamente impignorabili” tutti gli animali di affezione o da compagnia che vengono tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali; così pure debbono considerarsi “assolutamente impignorabili” gli animali che vengono utilizzati per finalità terapeutiche o di assistenza del debitore, del di lui coniuge, del convivente o dei figli.
Quanto agli animali esotici ed agli animali in via di estinzione, è possibile detenere quelle specie regolamentate dalla Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, entrata in vigore nel 1975 ed applicata in Italia dal 1980 (cosiddetta “C.I.T.E.S.”).
In virtù della “C.I.T.E.S.” e de Regolamenti di attuazione approvati dalla legislazione comunitaria, la cifra di specie protette, non solo in Italia ma in tutti i Paesi sottoscrittori della Convenzione, è sempre maggiore; ciò determina che gli stranieri, provenienti da un Paese esotico, non possano prelevare a fini di detenzione (men che meno a fini di lucro) animali presenti in quell’ecosistema specifico (per esempio, pappagalli, primati, serpenti, felini, cinghiali, volpi, daini, determinate tartarughe, e così via).
La normativa regionale approfondisce ulteriormente la detenzione degli animali esotici.
A titolo esemplificativo, la Legge della Regione Lazio n. 89 del 14 dicembre 1990 definisce come animali esotici i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi delle specie facenti parte della fauna selvatica esotica, le cui popolazioni vivono stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nei paesi di origine, delle quali non esistono in Italia popolazioni naturali, anche se gli esemplari si sono riprodotti in stato di cattività nel territorio nazionale.
Chi è interessato alla detenzione di animali provenienti da Paesi esotici, deve formalizzare istanza per autorizzazione dianzi al Sindaco del proprio Comune, per il tramite del Servizio Veterinario dell’Azienda Unità Sanitaria Locale, entro otto giorni dall’inizio della detenzione dell’animale, oppure dall’intervenuta nascita in stato di cattività. Per determinate specie animali soggette a maggior tutela, alla domanda deve essere allegata anche copia autentica della denuncia di possesso al Servizio Certificazioni C.I.T.E.S. – Corpo forestale dello Stato.
Cosa dice la legge per la protezione degli animali da compagnia?
La Legge n. 201 del 3 dicembre 2010 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, così come approvata a Strasburgo il 13 novembre 1987, con relativa normazione di adeguamento all’ordinamento interno) tiene a precisare, in particolar modo, due capisaldi:
– nessuno può provocare inutilmente dolori, sofferenze o angosce a qualsivoglia animale da compagnia;
– a nessuno è consentito l’abbandono di un animale da compagnia.
L’art. 4 della Legge 201/2010 introduce il reato di traffico illecito di animali da compagnia, un vero e proprio delitto dello Stato, sanzionato con la reclusione dai tre mesi ad un anno e della multa da tremila a quindicimila euro.
A sua volta, l’art. 5 della Legge 201 sanziona tutti coloro che provvedono all’illecita introduzione in Italia di animali da compagnia, senza assicurare i necessari sistemi per l’identificazione individuale dell’animale.
Quali reati che riguardano gli animali da compagnia sono previsti dal codice penale italiano?
Il nostro codice penale qualifica come reati numerose condotte, poste in essere a danno degli animali di compagnia, statuendo le relative pene.
L’art. 544 bis del codice penale (rubricato “Uccisione di animali”) prevede che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale, è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni. Le pene, peraltro, hanno subito un inasprimento proprio grazie all’introduzione della Legge n. 201/2010.
Il concetto dell’assenza di necessità previsto nell’art. 544 bis c.p. introduce la tematica dello stato di necessità di cui all’art. 54 del codice penale, o comunque ogni situazione che può indurre alla provocazione dell’evento morte in capo all’animale, o al danneggiamento dello stesso, al solo fine di evitare un pericolo imminente, o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile.
Un esempio proprio della necessità di uccisione potrebbe esser rinvenuto nell’attività di chi, suo malgrado, provoca la morte di un grande cane perché lo stesso pone in essere condotte atte a porre a repentaglio l’incolumità di persone, cagionando un pericolo imminente alla loro vita o alla loro integrità fisica.
La Corte di Cassazione ha individuato, in diverse pronunce, anche condotte omissive (derivanti da negligenza, noncuranza e grave indifferenza in capo all’umano chiamato alla custodia dell’animale), tali da individuare la fattispecie dell’uccisione prevista e punita dall’art. 544 bis.
Ad esempio, la Sentenza n. 29543 del 9 giugno 2011 ha evidenziato che l’evento morte dell’animale può essere la conseguenza anche di una mera omissione del soggetto custode, come avviene per l’omicidio degli esseri umani, tant’è che sul modello del reato di omicidio viene riprodotto il delitto dell’uccisione di animali, definito anche “animalicidio”. La fattispecie sottoposta all’attenzione della Suprema Corte era costituita dalle mancanze dell’imputata, la quale impediva ad altre persone di accedere all’interno di un cortile al fine di recuperare un gatto ivi presente, determinando in tal modo l’abbandono dell’animale ed il suo decesso. Non mancavano i Supremi giudici di sanzionare anche la crudeltà dell’imputata con relativa maggiorazione della pena.
Anche la caccia da frodo viene intesa dalla Suprema Corte, in determinate fattispecie, come una forma di “animalicidio”.
A sua volta, l’art. 544 ter del codice penale (rubricato “Maltrattamento di animali”), statuisce che chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000,00 a 30.000,00 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate, ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.
Suddette pene sono state elevate grazie alla Legge n. 201/2010.
Di tale fattispecie criminale di maltrattamento dell’animale, si è occupata di recente la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 1448 del 15 gennaio 2018.
I Supremi Giudici hanno previsto che configura reato di cui all’art. 544 ter del codice penale, integrandone sia l’elemento soggettivo sia l’elemento oggettivo, il maltrattamento, con crudeltà e senza necessità, di cuccioli di cane, cagionando loro delle lesioni e allontanandoli prematuramente dalla madre ostacolandone la corretta crescita e l’adeguato sviluppo. Venendo al caso particolare trattato dalla Suprema Corte, i cuccioli di cane, venivano riuniti in contenitori di plastica di dimensioni minimali, allo scopo di trasporto e di successivo commercio; gli animali venivano alimentati attraverso ciotole di piccole dimensione, sporche per la presenza riscontrata di trucioli di legno e pezzi di carta accumulatisi perché a loro volta costituenti la lettiera delle casse di plastica; inoltre, il magazzino nel quale erano ammassati i cuccioli nei relativi contenitori di plastica, aveva un pavimento in calcestruzzo non lavabile e non erano presenti fondi di acqua al fine di consentire una pulizia minima degli animali ed una sanificazione, pur sommaria, dell’ambiente; per di più non era presente un impianto di riscaldamento che potesse consentire una temperatura idonea a riscaldare i cagnolini; circostanza ancor più grave, le Autorità intervenute in loco riscontravano, loro malgrado, che i cuccioli in condizioni di salute precaria venivano allocati all’interno di un’altra stanza del magazzino, in stato di palese degrado, con vistose infiltrazioni, in casse di plastica sotto lampade ad infrarossi non idonee a consentire il giusto riscaldamento.
Dunque, l’ordinamento vuole che gli animali di affezione abbiano diritto ad essere ospitati all’intero di un ambiente adatto, in grado di assicurare loro serenità ed appagamento; il custode dell’animale versa nel dovere giuridico di garantire, per legge, suddette ineliminabili necessità.
Ogni cittadino deve conformarsi a tali minimali presidi, pena la sanzione penale comminata dall’ordinamento.
Si proceda ulteriormente con la verifica degli articoli del codice penale a tutela degli animali d’affezione.
L’art. 544 quater del codice penale punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali; aumenti della pena sono previsti per chi compie tali condotte in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto, per sé od altri, ovvero se ne deriva la morte dell’animale.
Ancora, l’art. 544 quinquies del codice penale sanziona coloro che organizzano, promuovono o dirigono attività di combattimento tra animali, tali da porne in pericolo l’integrità fisica.
Ciò posto, sia lecito domandarsi, sarebbe possibile organizzare in Italia uno spettacolo quale la corrida? La risposta, ovviamente, è negativa.
L’art. 727 del codice penale punisce chiunque abbandona animali domestici, o che abbiano acquisito abitudini della cattività; eguale punizione è prevista per chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
Tali condotte (confluenti nel reato contravvenzionale suddetto) vengono rubricate come “abbandono di animali” e debbono essere intese non soltanto come tutti quei comportamenti umani che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali, destando repulsione ed avversione per la loro chiara crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, cagionando sofferenze in capo al medesimo.
Ad esempio, la Cassazione, con la Sentenza n. 46291 del 3 dicembre 2003 ha evidenziato che nella contravvenzione di cui all’art. 727 del codice penale non viene richiesta necessariamente la lesione fisica all’animale, poiché è sufficiente la semplice sofferenza del medesimo; ciò in quanto la norma mira a tutelare gli animali quali esseri viventi, capaci di percepire con dolore comportamenti non ispirati a simpatia, compassione ed umiltà (nello specifico, l’imputato poi condannato, prendeva a calci un cane, per costringere la padrona dell’animale a farsi vedere, dimostrando la natura futile e, ci sia consentito di aggiungere, meschina, del suo comportamento doloso).
Da ultimo, si verifichi anche il disposto dell’art. 500 del codice penale (rubricato “Diffusione di malattia degli animali”); tale norma statuisce che chiunque cagiona la diffusione di una malattia nei confronti di piante od animali, che costituisca una patologica pericolosa per l’economia rurale o l’economia forestale, ovvero per il patrimonio zootecnico della nazione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se la diffusione avviene per colpa, la pena è della multa da euro 103,00 ad euro 2.065,00.
Oltre alla sfera penale, è possibile ottenere risarcimento civile?
Sia doverosa una chiosa all’esposizione sovra rassegnata: la sanzione penale delle condotte perseguite dall’ordinamento a danno dell’animale, non esclude, anzi promuove ancor di più, la richiesta di risarcimento civile nei confronti degli autori delle condotte antigiuridiche. Legittimato attivo è, ovviamente, il proprietario dell’animale, che rivendica il ristoro “iure proprio”, ad esempio in conseguenza alla perdita dell’animale di affezione, per la quale è doveroso il risarcimento tanto a livello patrimoniale, quanto a livello non patrimoniale. Allo stesso modo, legittimato attivo sarebbe il proprietario dell’animale in conseguenza di ipotetici episodi di maltrattamento a danno del proprio animale.