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Il danno morale. La risarcibilità del danno morale nel caso di incidenti stradali.

 

Si assiste con frequenza sempre maggiore, all’atto della trattazione di una pratica risarcitoria riferita ad un incidente stradale con lesioni fisiche, ad obiezioni da parte delle compagnie assicurative, le quali tendono a negare un autonomo ristoro del danno morale subito dalla vittima, o comunque sottopongono la liquidazione di tale voce di danno, a scrupolose valutazioni in fatto ed in diritto.

Tale modus operandi non rappresenta un inopinato inasprimento da parte delle compagnie assicurative, dovuto a necessità di… “stringere i rubinetti” davanti alla gran mole di richieste risarcitorie promananti dalle vittime dalla strada.

O meglio, se mai l’aspetto della limitazione dei risarcimenti rechi senz’altro giovamento alle casse delle grandi società, va tuttavia evidenziato che alla base sussistono specifiche considerazioni di carattere giuridico.

Ma il danno morale conseguente al sinistro stradale deve essere risarcito?

Costituisce giurisprudenza oramai consolidata della Suprema Corte, quella che considera la necessità di sottoporre le liquidazioni dei danni morali subiti dalle vittime della strada, non più secondo meccanici automatismi che fanno riferimento solamente ai punti percentuali rispetto al valore del danno biologico subito (così come computati nelle Tabelle risarcitorie), ma in base ad una più attenta “personalizzazione” della sofferenza morale sofferta dal danneggiato; la Cassazione, infatti, ha rilevato che in sede risarcitoria conseguenziale alla verificazione di un sinistro stradale, è sempre necessaria una valutazione “ad hoc”, attraverso un accertamento, da compiersi caso per caso, circa la sussistenza del pregiudizio subito e della sofferenza psicologica patita.

In sostanza, per procedersi ad una valutazione oggettiva danno morale non si può ricorrere a criteri predeterminati, ma occorre agire in modo personalizzato, caso per caso, tenendo conto del danno morale come di un dolore intimo, che sempre colpisce la persona che ha subito una lesione personale generata dal fatto illecito altrui, ma che, nello specifico, assume contorni personali, non sussumibili all’interno di una valutazione prettamente automatica della sofferenza.

In tal senso, s’impongono doverose attività valutative da parte del giurista chiamato ad individuare in modo esatto la risarcibilità del danno morale sofferto; giurista, sia esso il legale, il quale richiede il risarcimento in via stragiudiziale, lungo l’istruttoria assicurativa aperta dalla compagnia; sia esso l’avvocato che agisce in sede giudiziale per rivendicare i diritti del proprio cliente ed ottenere sentenza di condanna nei confronti del responsabile del danno e dell’assicurazione; sia esso il magistrato che è tenuto, all’esito dell’eventuale contenzioso, ad enucleare le varie voci risarcitorie da riconoscere in favore del soggetto danneggiato.

L’individuazione specifica del danno morale andrà effettuata individuando il pregiudizio come autonomo rispetto al danno biologico, poiché diverso è il bene protetto, da un lato, la sofferenza della vittima, le condizioni soggettive in cui la stessa versava dopo l’evento lesivo, la gravità del fatto subito e gli effetti in tema di afflizione morale in capo alla vittima; dall’altro lato, la lesione del bene salute.

Ecco, allora che in sede di istanza risarcitoria sarà importante evidenziare la specifica lesione morale subita dalla persona danneggiata, le afflizioni patite come soggettivamente riferite al caso specifico, lo stato di sofferenza che l’evento ha cagionato in capo alla vittima.

Ma in che modo è risarcito, attualmente, il danno morale?

Sia doverosa un’ulteriore specifica: facendo leva sull’ottica “autonomista” del ristoro del danno morale, saranno oggi perfettamente ammissibili diverse procedure liquidatorie, tutte con pari dignità nella loro applicazione, dovendosi riferire, caso per caso, al singolo evento denunciato ed al singolo nocumento patito:

– criterio della liquidazione a carattere “onnicomprensivo”, con un ristoro economico in forma unificata, sia del danno biologico, sia del danno morale, facendo rientrare entrambi in una singola “macro-voce” di danno;

– criterio della liquidazione “a parte” del danno morale subito, in base ad una quota del danno biologico individuato nelle Tabelle risarcitorie (con una percentuale solitamente dal 50% al 33%);

– criterio della liquidazione del danno morale totalmente autonoma, soggettiva e slegata rispetto alle Tabelle che individuano il risarcimento del danno biologico;

– criterio della liquidazione che fa fede alle Tabelle, ma le personalizza in seguito a considerazioni riferite allo specifico pregiudizio morale sofferto dalla vittima, in tal modo, giungendo ad una liquidazione personalizzata tabellare, con percentuali non predeterminate rispetto al “quantum” dovuto per il ristoro del danno biologico.

Ciò doverosamente evidenziato, dovendo essere escluso ogni conteggio prettamente automatico, è stato ritenuto legittimo, in caso di risarcimento del danno morale all’interno del procedimento giudiziale, il ricorso ad un criterio di determinazione del “quantum” risarcitorio liquidabile a titolo di ristoro morale, in una porzione dell’intero importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico. ciò a patto che il magistrato che procede a suddetta liquidazione, con adeguata motivazione, dimostri di avere tenuto conto delle singolarità del caso concreto, effettuando una valutazione circa le peculiarità della fattispecie, personalizzando il criterio risarcitorio e dando atto di non aver applicato i valori tabellari come un semplice “automatismo” di carattere matematico.

Mutuando le argomentazioni sovra rassegnate ad un caso specifico, sia l’occasione per riportare una recente pronuncia della Suprema Corte, che si pone sulla scia della linea sovra tratteggiata, ripercorrendo una giurisprudenza oramai granitica in subiecta materia: “Con riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. ‘personalizzazione’ del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono considerarsi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che “qualunque” vittima di lesioni analoghe “normalmente” subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, le “specifiche” circostanze di fatto, “peculiari” al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione “economicistica” dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità” (Cassazione Civile, Sent. n. 21939 del 06/07/2017).

Sia questa l’occasione per lanciare un doveroso segnale di allarme al legale che difende un soggetto danneggiato ed intende procedere per richiedere il ristoro del danno morale sofferto: sia esaustiva l’attività deduttiva e siano esaustive le produzioni istruttorie, affinché il giudice possa ben individuare le specifiche circostanze di fatto idonee a dimostrare la personalizzazione del danno morale richiesto, giustificando l’adeguamento degli importi riferiti alle Tabelle risarcitorie previste per il ristoro del danno biologico.

In difetto di tale attività, il danno morale rischierebbe di non esser utilmente provato e di finire nella sfera del … dimenticatoio!

Ad aiutare l’avvocato è, una volta di più, la giurisprudenza della Suprema Corte: “In caso di incidente stradale il danno morale, conseguente alle lesioni, va sempre provato, sia pure per presunzioni, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico patito. Ciò è tanto più vero nel caso di lesioni minori (micropermanenti), laddove non sempre vi è un ulteriore danno in termini di sofferenza da ristorare” (Cassazione Civile, Sent. n. 339 del 13/01/2016).

Ma è risarcibile ogni tipo di danno morale?

Non tutte le afflizioni e le sofferenze psichiche sono meritevoli di risarcimento per l’ordinamento.

Il giudice, ai sensi dell’art. 2059 del codice civile, è sempre chiamato a verificare, ai fini della concessione del risarcimento, quali siano gli interessi che la vittima del fatto illecito assume violati per verificarne la rilevanza costituzionale ovvero la riconducibilità ad una espressa previsione di Legge che ne legittima espressamente il ristoro non patrimoniale. Il giudice deve, poi, anche valutare la cosiddetta “gravità dell’offesa” che si vuole sottoporre a ristoro economico. La suddetta gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia deò tutto “futile”.

Su tali basi, occorre che si individuino in ogni caso la serietà della lesione morale sofferta e la gravità dell’offesa ricevuta. Il pregiudizio sofferto, quindi, mai dovrà essere “bagatellare”, ossia di tipo irrisorio, o comunque, pur essendo obbiettivamente serio, mai dovrà essere, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto. I pregiudizi connotati da “futilità” devono essere accettati da ogni persona inserita nel complesso contesto sociale, in virtù del preminente dovere della tolleranza che la convivenza impone. Ulteriore requisito è che il diritto leso deve essere soggetto ad una compromissione che vada al di là di una soglia minima, determinando una sofferenza seriamente apprezzabile. Il danno, dunque, deve andare al di là di un certo livello di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.

Parametrando tali osservazioni ad alcuni casi concreti, si pensi, ad esempio alla risarcibilità del cosiddetto “danno da stress”: non tutti le sofferenze da “stress” sono risarcibili per l’ordinamento; occorre sempre dimostrare un danno effettivo subito dalla vittima. Allo stesso modo il danno “da tempo perso” (ad esempio, per aver sostenuto file e passaggi burocratici al solo fine di ottenere il riconoscimento di una propria spettanza), è una fattispecie di danno che difficilmente verrebbe riconosciuta come risarcibile in sede giudiziale; così pure il danno da ritardo nella lavorazione di una pratica personale da parte di un pubblico ufficio, non viene considerato dall’ordinamento come motivo sufficiente per rivendicare una pretesa risarcitoria autonomamente apprezzabile.

È risarcibile in via autonoma il danno cosiddetto “esistenziale”?

Pur dovendo sempre riconoscere l’autonomia della voce del danno morale, con le personalizzazioni sopra evidenziate e l’assenza di automatismi nel risarcimento, non può dirsi che oggi esiste anche un’autonoma risarcibilità in capo al danno cosiddetto “esistenziale”.

Dovendo inquadrare l’afflizione di tipo “esistenziale”, essa è definibile come quel nocumento che si traduce in un peggioramento della qualità di vita, da intendersi come svolgimento quotidiano delle attività della persona umana.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le famosissime sentenze di “San Martino” del 2008, ha stabilito che il danno non patrimoniale costituisce un modello unitario e non scindibile, del quale le singole “sub-categorie” di danno, tra le quali, appunto, il danno esistenziale, rivestono solamente una valenza descrittiva (Cassazione, SS.UU., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975). Ancora più esplicitamente: in forza dell’art. 2043 del codice civile, debbono esser risarciti tutti i danni patrimoniali subiti da un soggetto, senza predeterminazione di legge: il danno patrimoniale è quindi atipico; in forza dell’articolo 2059 del codice civile, devono essere risarciti tutti i danni morali/non patrimoniali, ma solamente se ed in quanto siano previsti dalla legge: il danno non patrimoniale è quindi tipico. Non esiste, invece, una autonoma categoria di danno esistenziale, poiché il danno morale/non patrimoniale è unico, non scomponibile in diverse sottocategorie, e soltanto a fini descrittivi si parlerà di singole “sottovoci” di danno, dunque anche della sfera “dinamico-relazionale”, ovvero del danno esistenziale.

Ciò doverosamente premesso, s’impone in ogni caso di evidenziare che non resteranno certo senza risarcimento quelle lesioni di carattere morale-esistenziale meritevoli di sanatoria, quali la compromissione della vita di relazione (danno alla socialità dell’individuo), il nocumento della sfera sessuale della persona (danno alla sessualità) il danno estetico, da intendersi al di là della risarcibilità del danno meramente biologico; la sofferenza morale derivante da atti diffamatori, da ingiurie, dalla lesione dell’altrui reputazione, da tradimento del coniuge, da demansionamento nel posto di lavoro, da illegittima iscrizione nel registro di cattivi pagatori; il danno da perdita parentale, le afflizioni subite dal danneggiato che, purtroppo, resta in uno stato di lucida agonia prima dell’evento morte; il danno per perdita del proprio animale domestico d’affezione, e così via.

Si tratta di danni tutti meritevoli di risarcimento, con la valutazione più completa ed oggettiva possibile.

Ma queste “sottocategorie”, andranno tutte inquadrate all’interno della più generale voce del danno morale.

Avv. Alessandro Milanetti

 

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Informazioni su Alessandro M

L'avvocato Alessandro M. è iscritto presso il Foro di Roma ed opera nel settore del diritto civile e del lavoro, assicurando attività di assistenza e consulenza legale qualificate presso i propri studi siti in Roma ed in Nettuno.

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