Risarcimento danni per uso marchio
In quali casi è lecito l’utilizzo del marchio altrui?
E’ innanzitutto necessario stabilire se, fra il titolare del marchio e la società che utilizza il marchio stesso, sussiste un contratto che autorizza quest’ultima ad utilizzare il nome in questione.
Anche laddove questo accordo manca, tuttavia, il fatto che non ci sia mai stata espressa opposizione all’uso indiscriminato del marchio, viene considerato dalla legge alla stessa stregua di un atto di tolleranza, idoneo a rendere legittimo l’utilizzo del nome da parte della società.
Più precisamente, se il titolare del marchio è a conoscenza dell’utilizzo dello stesso che si sia perpetrato per più di cinque anni e non abbia fatto niente per impedirlo, l’art 28 del Codice della Proprietà Industriale legittima l’utilizzatore a continuare tranquillamente nella propria attività.
Come viene disciplinato l’uso del marchio?
La tutela del marchio trova espressa previsione nell’art 2564 c.c., il quale disciplina le ipotesi di probabile confusione fra ditte che sono simili a livello di oggetto o di luogo in cui vengono esercitate.
L’impresa che ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore, in base a questa norma, ha l’obbligo di integrare o di modificare il marchio con indicazioni idonee a differenziarlo dall’altro.
Ai fini dell’applicazione dell’art 2564 c.c. non è necessario che si sia effettivamente verificata la confusione ma è sufficiente che la confusione stessa sia probabile.
La possibilità che due marchi possano essere confusi deve essere valutata dal Giudice di merito, il quale deve analizzare attentamente gli elementi di identità, somiglianza e diversità esistenti.
Oltre alla disciplina prevista dal codice civile, la tutela del marchio trova spazio anche nel Codice della Proprietà Intellettuale, in particolare all’art 22.
Questo dispone il divieto di adottare un marchio uguale o simile ad altro già registrato per prodotti o servizi anche non affini in tutti quei casi in cui l’uso del marchio stesso consentirebbe di trarre un vantaggio indebito.
Tale articolo non si limita a tutelare solo i marchi registrati ma anche i segni distintivi diversi dal marchio stesso quali, ad esempio, le informazioni aziendali riservate.
Quali sono le novità che l’art 22 aggiunge alla disciplina di cui all’art 2564 c.c.?
L’art 22 garantisce una tutela ulteriore ed accessoria rispetto a quella prevista dal codice civile in quanto ammette che sia sufficiente anche la mera similitudine fra i due marchi per attivare la procedura.
Quali sanzioni sono previste per l’uso illegittimo del marchio?
L’azienda che si ritiene lesa dall’uso del marchio può richiedere sia la modificazione della ditta altrui ex art 2564 c.c. sia l’inibitoria dell’uso della ditta stessa ex art 2599 c.c.
Quest’ultimo articolo prevede che, laddove sia accertata la concorrenza sleale, debba essere inibita la continuazione del comportamento lesivo.
Ai fini dell’applicabilità dell’articolo non è necessario che l’attore provi di aver già sofferto un danno dovuto alla concorrenza sleale né che il convenuto sia in dolo o in colpa.
L’unico presupposto richiesto è il pericolo del danno, ossia la probabilità del ripetersi dell’atto sleale.
E’ possibile contrastare l’uso del marchio da parte di terzi inviando inizialmente una diffida attraverso la quale si intima l’immediata cessazione dell’utilizzo indebito del marchio.
Nel caso in cui la diffida non conduca al raggiungimento degli effetti sperati, deve essere intrapresa un’azione giudiziale a tutela del proprio marchio registrato con il fine di far cessare immediatamente l’utilizzo illecito dello stesso.
E’ possibile anche richiedere il sequestro della merce contraffatta e chiedere il risarcimento dei danni subiti.
Quando può essere richiesto il risarcimento dei danni per l’uso illegittimo del marchio?
L’art 2600 c.c. dispone che, se gli atti di concorrenza sleale sono posti in essere con dolo o con colpa, l’autore è tenuto al risarcimento dei danni.
In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza.
L’esistenza del dolo o della colpa in capo all’agente costituiscono il presupposto necessario dell’obbligazione di risarcimento.
L’ordine di pubblicazione della sentenza che accerta la concorrenza sleale e le modalità di realizzazione della pubblicazione stessa costituiscono esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile del giudice di merito.
Per capire cosa si intende per atti di concorrenza sleale, è necessario fare riferimento all’art 2598 c.c., il quale precisa che non si tratta esclusivamente di sottrazione di clientela bensì anche di atti denigratori che mirano a rovinare l’immagine.
Il bene giuridico tutelato dall’art 2598 c.c. è, da un lato, l’interesse degli imprenditori a non essere pregiudicati nella possibilità di guadagno dagli atti sleali, e, dall’altro, l’interesse dei consumatori a non essere tratti in inganno nelle loro scelte, in un contesto di lealtà, sana competizione e trasparenza.
Il danno emergente si identifica essenzialmente con i costi sostenuti per ottenere le prove della concorrenza sleale nonché con le spese sostenute per bloccare la concorrenza stessa o quantomeno diminuirne gli effetti.
Il lucro cessante, invece, si identifica con la sottrazione della clientela e con l’utile che l’impresa avrebbe potuto conseguire se non fossero state effettuate vendite dal concorrente sleale.
Per quanto riguarda la prescrizione, trova applicazione quanto previsto dall’art 2947 c.c., secondo cui il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.
Quale tutela penale è riservata all’utilizzo del marchio?
La norma di riferimento è l’art 473 c.p., il quale riguarda la contraffazione, alterazione o uso di marchi.
Il bene giuridico protetto da tale norma è la fiducia che il pubblico dei consumatori ripone in determinati marchi.
Si tratta, quindi, di un articolo che tutela la fede pubblica in senso oggettivo e, in particolare, l’interesse collettivo dei consumatori alla distinzione della fonte di provenienza dei prodotti immessi sul mercato.
La fattispecie criminosa prevista dall’art 473 c.p. si realizza a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne e dei regolamenti comunitari concernenti la tutela della proprietà intellettuale e industriale.
Affinché possa verificarsi il reato ex art 473 c.p., infatti, è necessario che il marchio oggetto della contraffazione sia stato depositato, registrato o brevettato seguendo le disposizioni di legge.
Per quanto riguarda la condotta del reo, l’art 473 precisa che, perché sia integrata fattispecie criminosa, gli altrui marchi debbono essere oggetto di materiale contraffazione o alterazione, non rilevando la sola possibilità di confusione.