I rumori molesti provocati dai vicini costituiscono uno dei più frequenti motivi di lite fra condòmini.
Le cause possono essere svariate, dai latrati dei cani ai tacchi delle scarpe, dal volume della televisione al rumore della lavatrice in piena notte!
Cosa fare per porre un freno a questo fastidio spesso insopportabile?
Vicini Rumorosi
Ecco cosa fare
Prima di procedere per vie legali o di innescare litigi infiniti, è buona norma consultare il regolamento condominiale e verificare se vi siano riportate le fasce orarie in cui è possibile far rumore e quelle in cui è necessario rispettare il silenzio.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di chiedere l’intervento dell’amministratore di condominio, organizzando insieme a lui un’assemblea straordinaria in cui mettere all’ordine del giorno il problema.
L’amministratore non può rifiutare il proprio intervento in quanto incorrerebbe nelle responsabilità previste dall’Art 650 c.p.
Se i rumori molesti persistono, però, è necessario affidarsi alla tutela prevista dalla legge tanto in sede civile quanto in sede penale.
Per quanto riguarda il codice civile, le norme di riferimento sono l’art 844 e l’art 2043.
L’art 844 stabilisce che <<il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità>>.
Il concetto di normale tollerabilità però non è ben definito ed il codice si limita a specificare che, per valutare tale limite, si deve tener conto anche della condizione dei luoghi.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che l’art 844 c.c. debba essere letto tenendo conto del limite della tutela della salute e che debba prevalere il soddisfacimento di una normale qualità della vita.
Il secondo comma dell’art 844 c.c. attribuisce ampi poteri discrezionali all’autorità giudiziaria circa la valutazione del limite della normale tollerabilità.
Tale comma, infatti, prevede che l’autorità debba contemperare le esigenze della produzione con quelle della proprietà, tenendo anche conto della priorità dell’uso.
La priorità è stata intesa dalla Corte di Cassazione come il pre-uso: ad esempio, chi acquista una villetta in una zona industriale deve poi aspettarsi possibili immissioni e il limite della tollerabilità è più alto rispetto ad una zona residenziale.
Ne deriva che il criterio della normale tollerabilità non sia assoluto bensì da valutare con la condizione dei luoghi in cui si produce l’immissione.
Nella valutazione è necessario tenere in considerazione quanto previsto dal DPCM del marzo 1991, secondo cui deve farsi riferimento alla “rumorosità di fondo” della zona.
In particolare, il principio da adottare per la determinazione della tollerabilità del rumore è quello del mancato superamento della soglia di tre decibel oltre il rumore di fondo.
Più in particolare, per quanto riguarda il condominio, deve aversi riguardo alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche.
Laddove le disposizioni del regolamento di condominio in materia di immissioni siano più restrittive e rigorose rispetto al principio generale di cui all’art 844 c.c., devono trovare applicazione le regole condominiali.
Diverso è invece il caso in cui il regolamento condominiale in materia sia più permissivo in quanto la propagazione di immissioni superiori alla soglia prevista dall’art 844 c.c. potrebbe compromettere il diritto alla salute, bene costituzionalmente garantito ed avente rango superiore rispetto al libero godimento della proprietà.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilità realizzano una lesione del diritto alla salute ex art 32 cost, che trova il fondamento della sua risarcibilità nell’art 2043 c.c.
La lesione del bene salute si realizza nel momento stesso in cui si verificano le immissioni sonore eccedenti il limite di normale tollerabilità, senza alcun bisogno che il danneggiato debba provare l’esistenza di patologie conseguenti alla lesione.
Per quanto riguarda la tutela in sede penale, l’art 659 c.c. punisce espressamente <<chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone>>, prevedendo l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino ad euro 309.
Perché possa ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art 659 c.p, è necessario provare che i rumori intollerabili siano idonei a disturbare un numero illimitato di persone.
Solo in questo caso, infatti, si integra una lesione della tranquillità pubblica, che è il bene giuridico protetto.
E’ sufficiente che la condotta dell’agente sia idonea a ledere tale bene giuridico, non rilevando che la lesione del bene si sia concretamente verificata.
La giurisprudenza ha evidenziato che la durata del rumore è irrilevante ai fini dell’identificazione del reato in quanto può integrare la fattispecie di cui all’art 659 c.p. anche un rumore breve ed improvviso, purché molto elevato in termini di intensità.
Perché sia sussistente la contravvenzione di cui all’art 659 è necessario che i rumori arrechino disturbo a tutti i soggetti del condominio e non ai soli occupanti di un appartamento, altrimenti si rientra nel caso di un illecito civile.
A tal proposito si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 47830 del 2 dicembre 2013, la quale ha stabilito che, perché si possa configurare il reato di cui all’art 659, non basta che i rumori disturbino i soli abitanti degli appartamenti di un condominio che si trovano ai piani immediatamente superiori o inferiori a quello da cui si propaga il rumore.
La Suprema Corte ha così annullato una sentenza di condanna inflitta dai giudici di merito ad un uomo che era finito sotto accusa per la sua abitudine di suonare ad alto volume la chitarra elettrica anche nelle ore notturne.
Sempre in sede penale, il superamento del limite della normale tollerabilità potrebbe rientrare nella generica fattispecie del cosiddetto “stalking condominiale” di cui all’art 612 bis c.p.
La Corte di Cassazione, infatti, con sentenza n. 26878 del 2016, ha confermato la configurabilità della fattispecie prevista dall’art 612 bis c.p. nel caso del comportamento di un condomino divenuto talmente esasperante da cagionare il perdurante e grave stato di ansia ed il cambiamento delle abitudini di vita del vicino.
Tali comportamenti configurerebbero, secondo la Cassazione, dei veri e propri atti persecutori nei confronti del vicino esasperato dalle continue vessazioni, prevedendo, pertanto, un’estensione del delitto di stalking all’ambito condominiale.