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Infortunio in Itinere: Cos’è e Come essere Risarciti

L’infortunio in itinere è una particolare tipologia di infortunio, introdotta dall’art. 12 del d.lgs. 38/2000 e ricorre nel caso in cui il lavoratore riporti un infortunio nel percorso di andata e ritorno dalla propria abitazione al luogo di lavoro, in quello di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione pasti nel caso in cui non ci sia una mensa aziendale o, ancora, nel tragitto fra un luogo di lavoro ed un altro, nel caso in cui l’interessato abbia più rapporti lavorativi in essere.

Infortunio in itinere

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Siffatta tipologia di danno, già riconosciuta dalla giurisprudenza, ha dunque trovato anche riconoscimento legislativo ed è strettamente connessa ai principi di occasione di lavoro, rischio generico, rischio generico aggravato: concetti, anche questi, di chiara origine giurisprudenziale.

Volendo procedere alla stesura di qualche definizione terminologica, può definirsi occasione di lavoro quel nesso causale corrente fra l’infortunio e il lavoro: tuttavia, come meglio si vedrà, tale collegamento eziologico deve essere correlato in maniera concreta ed effettiva all’attività lavorativa e non può ritenersi sussistente nel caso in cui, invece, il rapporto di lavoro costituisca un mero corollario della fattispecie.

Rischio Generico e Rischio Specifico

Il rischio generico e quello specifico sono invece due fattori che ricorrono, il primo per la totalità dei cittadini, il secondo sul lavoratore proprio in ragione dell’attività lavorativa svolta. Il rischio generico aggravato, infine, è quel tipo di rischio che è appunto aggravato dalla ricorrenza di talune caratteristiche tipiche dell’attività lavorativa, che vanno ad incrementare un fattore rischio che in mancanza di questi sarebbe invece normale.

Strettamente collegato alla figura del rischio generico aggravato è l’istituto dell’infortunio in itinere, la cui indennizzabilità è stata il risultato di un lungo excursus giurisprudenziale, sfociato poi nel chiaro riconoscimento legislativo. Si è infatti ritenuto meritevole di tutela non solo l’infortunio occorso sul posto di lavoro, ma anche quello verificatosi fuori dai luoghi di lavoro, ma che traeva comunque origine dal fatto che il danneggiato si fosse trovato in quella determinata situazione in ragione del fatto che stava andando o tornando dal lavoro.

Per effetto di tale elaborazione giurisprudenziale, peraltro già vivace prima dell’entrata in vigore dell’art. 12 d.lgs. 38/2000, sono dunque stati indennizzati infortuni dalle caratteristiche assolutamente variegate, con conseguente riconoscimento da un lato della ormai pacifica applicabilità della tutela de qua, ma prestando il fianco, dall’altro, ad una serie di richieste (e di pronunce) che finivano per esorbitare dal perimetro di operatività della medesima, facendo leva sulla scorta delle semplice coincidenza spazio-temporale fra lavoro ed infortunio.

Quando l’infortunio in itinere è escluso

Per arginare un tale pericolo, sono stati dunque chiariti i limiti operativi della tutela in questione: è stato così, ad esempio, precisato che essa opera solamente nel percorso casa – lavoro e che ogni interruzione o deviazione del percorso esclude l’indennizzabilità; che la scelta del mezzo privato a discapito di quello pubblico o dello spostamento a piedi deve essere strettamente necessaria; che in presenza di una mensa aziendale o di altro punto di ristoro convenzionato posto nelle vicinanze, la scelta del lavoratore di recarsi a casa per mangiare potrebbe rivelarsi non giustificata.

L’ampia casistica sopra descritta, ha inevitabilmente finito per aumentare i dubbi interpretativi (anche in seno alla stessa Corte di Cassazione vi sono orientamenti contrastanti), ruotanti sostanzialmente al concetto di occasione di lavoro e rischio. Vi era infatti un primo orientamento teso ad estendere il concetto di infortunio assicurato, considerando indennizzabile tutto il percorso fatto dal lavoratore per recarsi sul posto di lavoro anche quando ricollegabile solo indirettamente all’attività svolta, mentre secondo altro orientamento, più rigorista e restrittivo, occorrerebbe che la causa dell’infortunio sia collegata in qualche modo con l’attività lavorativa.

Recentemente, a far luce sulle questioni anzidette sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 17685/2015, hanno risolto un conflitto interno alla Corte medesima, chiarendo che il collegamento con l’occasione di lavoro non deve essere marginale e basato esclusivamente fra la mera coincidenza di tempo e di luogo.

Dunque, al fine della configurazione dell’infortunio indennizzabile è necessario che la causa violenta sia collegata in qualche modo all’attività lavorativa, ovvero che inerisca a essa o sia almeno occasionata dal suo esercizio, non essendo sufficiente la semplice coincidenza sopra indicata.

Come viene indennizzato l’infortunio in itinere?

Chiariti i limiti operativi della garanzia, passiamo ad esaminare come il danno derivante da infortunio in itinere viene concretamente indennizzato, chiarendo sin da ora che la procedura viaggia su un doppio binario: quello dell’indennizzo da parte dell’INAIL, quantificato secondo i parametri indicati in apposite tabelle, e quello del risarcimento da richiedere al responsabile civile, regolato, appunto, dalle norme civilistiche.

La prima cosa da fare è comunque denunciare il sinistro sia all’INAIL che alla compagnia assicurativa competente a gestire il sinistro, tenendo presente che l’indennizzo riconosciuto in via previdenziale non copre tutto il danno (ad esempio è escluso quello morale) e procede alla liquidazione dello stesso utilizzando delle tabelle per la stima del danno biologico più basse rispetto a quelle previste nel settore RC Auto.

Quanto si riesce ad ottenere?

Con specifico riferimento all’indennizzo che dovrebbe erogare l’INAIL, il Legislatore prevede una diversa tutela a seconda del grado di lesioni riportate: se ad esempio le lesioni sono inferiori al 6% delle Tabelle INAIL, non viene riconosciuto alcun indennizzo e dunque il danno sarà risarcito dalla compagnia assicuratrice secondo le regole della RCA. Se invece il danno rientra nella percentuale che va dal 6% al 15%, l’INAIL coprirà i danni permanenti, ma non il danno biologico temporaneo né quello morale.

Per i casi di lesioni dal 16% sarà corrisposta invece una rendita individuata anch’essa da apposita tabella INAIL. Molto controversa è stata anche la risarcibilità del danno c.d. differenziale, categoria di concezione giurisprudenziale, ossia di quel danno che è frutto della differenza tra l’indennizzo riconosciuto dall’INAIL e quello risarcibile secondo il diritto civile: del resto, il danneggiato non può vedere sacrificato il proprio diritto ad un risarcimento globale ed onnicomprensivo, cosa che invece accadrebbe limitando garantendo ristoro sulla scorta della sola erogazione dell’indennizzo da parte dell’INAIL che, come innanzi cennato, utilizza peraltro delle tabelle aventi valori più bassi.

Per vedersi riconosciuto tale maggior danno il lavoratore deve agire in giudizio nei confronti sia del lavoratore sia del terzo responsabile, seppur limitatamente, appunto, alla quota parte che eccede quanto già riconosciuto ed erogato dall’INAIL, avendo ovviamente cura di dimostrare l’esistenza del danno richiesto.

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