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Risarcimento Danno per Violazione Privacy

COME OTTENERE IL RISARCIMENTO DANNI PER VIOLAZIONE PRIVACY

La riservatezza ed il corretto trattamento dei nostri dati personali è un diritto fondamentale che nel nostro Paese ha trovato esplicito riconoscimento – e dunque tutela – relativamente tardi. Se infatti in altri ordinamenti la disciplina della materia è assai risalente nel tempo, in Italia l’intervento legislativo si è avuto solamente nel 1996, con la legge n. 675/1996. Successivamente è stato adottato il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 196/2003), detto anche Codice della Privacy, che contiene una disciplina organica della materia e nel quale sono confluite gran parte delle norme di cui alla legge 675/1996.

La previsione normativa è evidentemente collegata alla esigenza di far fronte all’importante fenomeno della raccolta, elaborazione, conservazione e divulgazione di dati riservati relativi sia a persone fisiche che giuridiche: immaginando quante volte vengono comunicati a terzi i nostri dati personali, da quelli più banali a quelli più riservati ed intimi, è facile intuire come poi essi possano circolare, col serio rischio di arrecare condizioni di pregiudizio. La sensibilità dei dati e delle informazioni giustifica quindi una loro opportuna tutela e, conseguentemente, il configurarsi di un danno derivante dal loro errato o illegittimo trattamento.

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La tutela è ipotizzabile sia nel caso di uso diverso dei dati rispetto a quello per il quale è stato dato il consenso, sia nel caso in cui vi è interesse a che le informazioni a suo tempo rilasciate restino riservate e non vengano piuttosto divulgate, volontariamente o meno. Il summenzionato Codice della Privacy prevede sostanzialmente il riconoscimento di una serie di diritti a favore dei soggetti titolari dei dati raccolti, quali ad esempio il diritto all’informazione preventiva circa il trattamento dei dati o quello di verifica della correttezza della utilizzazione dei dati o, soprattutto, quello il diritto di dare o negare il proprio consenso al trattamento dei dati personali. È inoltre contemplata dal Codice una protezione ancor più rigorosa per il trattamento dei dati c.d. sensibili, cioè quelli che si riferiscono all’origine razziale ed etnica, alle opinioni politiche, filosofiche o religiose, alla salute, alla sfera sessuale. Viene inoltre istituita per la prima volta una Autorità Garante in materia, svolgente numerose funzioni, sia di indirizzo, che decisorie: infatti, una prima forma di salvaguardia al corretto trattamento dei dati, può essere invocata anche dinanzi alla detta Autorità Garante (istanza ex art. 7 del Codice), senza però avere la possibilità di richiedere il risarcimento del danno. Questo, peraltro, potrà assumere anche carattere non patrimoniale (art. 2059 c.c.), stante il richiamo dell’art. 15, ma la sua trattazione resta di competenza della Magistratura ordinaria. In tal senso, nell’ottica di evidenziare la portata e l’importanza dell’opportuno trattamento dei dati personali, il Codice in materia di protezione dei dati personali, all’art. 15, prevede che il danno in questione debba farsi rientrare nell’area dell’art. 2050 c.c., ossia un danno derivante dall’esercizio di attività pericolose.

Le conseguenze di un tale inquadramento sono molteplici e si riflettono sia sull’onere della prova, sia sulla posizione del danneggiato che appare evidentemente favorito, salvo quanto si dirà in seguito. Infatti, l’art. 2050 c.c. prevede una sostanziale inversione dell’onere della prova, poiché il danneggiante è tenuto a risarcire il danno se non prova di aver adottato tutte le misure atte a scongiurare il verificarsi del danno stesso. Anche la giurisprudenza è concorde sul punto quando prevede che “in tema di trattamento dei dati personali, l’onere della prova per la mancata custodia degli stessi incombe al danneggiante, come disposto dall’art. 2050 c.c., richiamato dall’art. 15 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196” (Cassazione civ., Sez. III, 26 giugno 2012, n. 10646). È prevista inoltre una tutela di tipo cautelare: il Giudice, quindi, nel caso vi sia pericolo di pregiudizio grave ed irreparabile, può adottare provvedimenti urgenti con apposito decreto motivato.

Con specifico riferimento all’illecito trattamento dei dati personali, il danno non patrimoniale potrà sostanziarsi nella lesione di diversi diritti di rango costituzionale, fra tutti il diritto alla riservatezza. Talvolta, tuttavia, la salvaguardia di questi diritti si scontra spesso con altri, avente sempre rango costituzionale ed altrettanto meritevoli di tutela, innescando una serie di conflitti interpretativi che da tempo animano dottrina e giurisprudenza: si pensi ad esempio al diritto di cronaca o alla privacy in materia condominiale. Altrettanto evidentemente andranno scongiurati – e la giurisprudenza sta lavorando in questa direzione spinta dalle giuste osservazioni della dottrina – pericolosi automatismi che vorrebbero risarcibile ogni violazione della normativa in questione, quasi prescindendo da una effettiva indagine circa la sussistenza del danno. Con specifico riferimento alla procedura per richiedere il risarcimento, va evidenziato come il Codice della Privacy, alla luce di una modifica legislativa apportata nel 2011 (d.lgs. n. 150/2011) preveda all’art. 152 una generale attribuzione di competenze alla Magistratura ordinaria, con applicabilità delle norme processuali previste per il rito di lavoro, ove non diversamente disposto.

L’adozione del rito del lavoro comporta da un lato maggiori poteri istruttori officiosi del Giudice e dall’altro una, almeno teorica, concentrazione dei tempi, essendo il rito in questione più snello rispetto a quello ordinario Pertanto, la domanda si proporrà sempre con ricorso al Tribunale del luogo ove ha sede il titolare del trattamento, nell’ambito del quale dovranno essere indicati tutti gli elementi a sostegno della medesima, allegando – pur in presenza di un profilo di responsabilità ex art. 2050 c.c. (con sostanziale inversione dell’onere della prova) – il maggior numero di circostanze atte a dimostrare l’esistenza e la serietà del pregiudizio. Se infatti è vero che con la detta inversione probatoria il compito potrebbe apparire più agevole, altrettanto vero è che dimostrata l’esistenza della violazione, è sempre onere della parte istante dimostrare anche la effettiva sussistenza del danno, soprattutto quello non patrimoniale. In particolare, la Corte di Cassazione (sent. n. 16133/2014) richiede per la risarcibilità del danno non patrimoniale per violazione della privacy, un accertamento circa la gravità della lesione e la serietà del danno. Altrimenti risulta evidente – complice la non felice formulazione dell’art. 15 del Codice – che si correrebbe il rischio di portare all’attenzione del Giudice qualsiasi episodio di violazione delle norme in materia di protezione dei dati, prescindendo dall’effettiva sussistenza di un danno risarcibile.

Esso, dunque, può sembrare in re ipsa, ma in realtà non lo è. Del resto l’ampia casistica – dettata sostanzialmente dall’enorme flusso di dati e dalla sfera di diritti tutelabili e al tempo stesso lesionabili – rende la tematica particolarmente delicata e soggetta a numerose interpretazioni sia dottrinali che giurisprudenziali, considerato altresì il conflitto, tutt’altro che infrequente, fra i diritti che vi si trovano a gravitare.

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