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Lavoro in nero: cosa succede al datore di lavoro?

Come denunciare il lavoro in nero?

Si parla di <<lavoro in nero>> quando viene instaurato un rapporto subordinato senza che il datore di lavoro proceda ai relativi adempimenti, quali la comunicazione obbligatoria al centro per l’impiego competente o la registrazione sul sito Inps.

In ragione della mancanza di lavoro e della necessità di guadagnare, capita spesso che tale situazione venga sopportata dal lavoratore senza sporgere alcuna forma di denuncia.

E’ bene, tuttavia, conoscere quali sono gli strumenti legali posti a tutela del cittadino che voglia reagire a tale violazione di legge.

Il lavoratore può sporgere denuncia presso l’Ispettorato del lavoro nella Direzione Provinciale del Lavoro di riferimento.

Tale denuncia deve contenere l’indicazione dei dati relativi alle attività e mansioni svolte, nonché l’indicazione della denominazione della ditta, degli orari di lavoro svolti e della retribuzione percepita.

E’ sempre consigliabile, laddove sia possibile, procurarsi prove documentali attestanti il lavoro effettuato e testimonianze.

La denuncia può essere presentata anche in forma anonima.

Dopo aver sporto denuncia, il lavoratore deve farsi assistere da un professionista abilitato o dall’ufficio vertenze di un sindacato.

Il professionista designato (o il sindacato) è tenuto ad esperire un primo tentativo di conciliazione.

Se l’azienda, tuttavia, non si rende disponibile ad una soluzione pacifica della controversia, la questione passa nelle mani del Giudice del Lavoro.

Un’altra via che il lavoratore può seguire per denunciare la propria posizione di irregolarità è quella di rivolgersi alla Guardia di Finanza.

Lavoro in nero: cosa succede al datore di lavoro?

lavoro in nero:cosa rischia il datore di lavoro

Che cosa rischia il datore di lavoro che impiega personale in nero?

A seguito della riforma dell’impianto sanzionatorio introdotta con D.lgs. n. 151 del 2015, le sanzioni previste per il datore di lavoro che occupa personale in nero si sono notevolmente inasprite, tanto da parlare di maxi-sanzione.

La multa può raggiungere anche la soglia dei 36mila euro.

Tale importo viene calcolato tenendo conto delle giornate lavorative effettivamente svolte da ciascun lavoratore irregolare.

Si ha inoltre un aumento del 20% dell’importo della sanzione quando il lavoratore in nero sia un minore o uno straniero privo di regolare permesso di soggiorno.

Sono previsti diversi scaglioni a seconda del numero dei giorni lavorativi:

– Sanzione compresa fra 1500 euro e 9000 euro: riguarda i casi in cui l’impiego del lavoratore irregolare si sia protratto sino a 30 giorni;

– Sanzione compresa fra 3000 euro e 18000 euro: riguarda i casi in cui l’impiego del lavoratore irregolare si sia protratto da un minimo di 31 giorni ad un massimo di 60 giorni;

– Sanzione compresa fra 6000 euro e 36000 euro: riguarda i casi in cui l’impiego del lavoratore irregolare abbia superato i 60 giorni di effettivo lavoro.

Il datore che si sia reso colpevole di assunzioni in nero, inoltre, perde il diritto a numerosi benefici normativi e contributivi, quali la possibilità di assumere nuovi lavoratori con il bonus disoccupati, con il bonus donne e over 50 e col bonus Garanzia Giovani.

L’automatica applicazione delle sanzioni previste per il lavoro nero scatta anche laddove siano riscontrate irregolarità nell’ambito del lavoro domestico (colf e badanti).

In che modo il datore di lavoro può essere esonerato dal pagamento della maxi sanzione?

Lo strumento che consente di evitare il pagamento della maxi-sanzione è la diffida obbligatoria, ex art 13 del D.lgs n. 124/2014.

Si tratta di una procedura che fornisce al datore di lavoro la possibilità di regolarizzare, entro un termine di 120 giorni, la posizione dei lavoratori in nero.

Tale regolarizzazione si realizza tramite la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, il quale può anche essere part-time purché si tratti di un tempo parziale non inferiore al 50%.

L’alternativa è la stipulazione di un contratto a tempo pieno e determinato, purché si protragga almeno per 3 mesi.

Un’altra circostanza che permette di usufruire della riduzione della sanzione è quella di fornire una prova dell’avvenuto pagamento delle multe e della regolarizzazione dei contributi entro 3 mesi dalla comunicazione della contestazione dell’infrazione.

La sanzione verrà quindi emanata in misura minima laddove il datore sia in grado di dimostrare, entro i termini previsti, di aver provveduto alla regolarizzazione ed al pagamento delle sanzioni e dei contributi previsti dalla legge.

L’utilizzo dei voucher può consentire di eludere la legge?

Non è possibile sfuggire al sistema sanzionatorio previsto dalla legge neppure ricorrendo al metodo dei voucher.

Per evitare strumentalizzazioni del mezzo ed impieghi illeciti dei voucher stessi (che spesso venivano attivati esclusivamente in caso di ispezioni), infatti, è prevista una sanzione che può raggiungere i 2400 euro.

Questa è prevista in tutti i casi in cui la comunicazione di inizio attività non sia stata effettuata o sia errata.

La comunicazione deve essere inviata entro un’ora dall’inizio della prestazione e deve contenere l’indicazione dei dati anagrafici del lavoratore, del luogo in cui si svolgerà l’attività lavorativa e della durata.

Sono previste sanzioni anche per il lavoratore che presta lavoro in nero?

Generalmente, colui che viene impiegato in nero è considerato come la parte debole del rapporto e, in quanto tale, non rischia particolari sanzioni.

Il discorso cambia, però, se il lavoratore ha dichiarato alle autorità competenti il proprio stato di disoccupazione e se percepisce una specifica indennità a causa di questo suo stato.

Il lavoratore impiegato in nero, che abbia reso una dichiarazione circa il suo status di disoccupato all’Inps e/o al centro per l’impiego, incorre nel reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art 483 c.p.

Tale norma prevedere la reclusione fino a 2 anni per coloro che attestano a pubblico ufficiale, mediante atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Se il lavoratore non si è solo limitato a dichiarare il proprio stato di disoccupazione ma ha anche usufruito di ammortizzatori sociali derivanti da tale condizione, rischia di incorrere anche in un’altra fattispecie di reato: l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ex art 316 ter c.p.

Tale norma prevede la reclusione, per un periodo compreso fra 6 mesi e 3 anni, per tutti quei soggetti che, omettendo informazioni dovute o rendendo dichiarazioni inesatte, conseguono in maniera indebita finanziamenti o altre erogazioni da parte dello Stato.

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